Operazione NIC: telefoni e droga in carcere, 5 arresti a Palermo

ott

27

2020
Le indagini sono state condotte dal Nucleo Investigativo della Polizia Penitenziaria, insieme agli uomini del Reparto della Casa di Reclusione Ucciardone di Palermo
Le indagini sono state condotte dal Nucleo Investigativo della Polizia Penitenziaria, insieme agli uomini del Reparto della Casa di Reclusione Ucciardone di Palermo

 

Ci sono anche un agente di Polizia Penitenziaria (già sospeso dal servizio) e due detenuti tra le cinque persone che queste mattina sono state arrestate dal Nucleo Investigativo Regionale Sicilia della Polizia Penitenziaria, con il coordinamento del Nucleo Investigativo Centrale (NIC) di Roma. L’ordinanza, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, disponeva la custodia in carcere di cinque soggetti: tre per corruzione e due anche per commercio di sostanze stupefacenti.

Grazie alle indagini, condotte dal Nucleo Investigativo della Polizia Penitenziaria, insieme agli uomini del Reparto della Casa di Reclusione Ucciardone ‘Calogero Di Bona’, è stato accertato che un agente, in forza presso l’istituto palermitano, avrebbe accettato 500 euro per introdurre uno smartphone e due miniphone all’interno del carcere. I tre dispositivi erano destinati a un detenuto condannato dalla Corte di Appello di Palermo per l’omicidio di Andrea Cusimano nell’agosto del 2017.

In questo caso l’intervento del servizio investigativo della Polizia Penitenziaria ha impedito che l’operazione andasse in porto ma intercettazioni telefoniche e ambientali hanno documentato come alcuni telefonini, illecitamente introdotti nella struttura, siano stati utilizzati dai detenuti per trattare la vendita di sostanza stupefacente. In un caso uno degli arrestati ha preso accordi telefonici con un detenuto nel carcere di Augusta la vendita a complici in libertà di una partita di circa 5 chilogrammi di droga.

Con la complicità di persone esterne al carcere venivano fatti arrivare re nell’istituto telefoni cellulari (utilizzati regolarmente da un gruppo di detenuti) e sostanze stupefacente attraverso varie modalità. Tra queste anche il lancio all’interno delle mura dalle strade circostanti. Le videoriprese disposte dalla Procura della Repubblica hanno in particolare permesso di immortalare diversi lanci di telefonini. In un altro caso, invece, uno dei soggetti ristretti si era telefonicamente accordato con un complice in libertà per il lancio di hashish.

Le attività di intercettazione hanno fatto luce su un vero e proprio commercio di miniphone e di sim-card all’interno dell’Ucciardone, con l’esistenza di ‘tariffari’ sia per l’introduzione di tali beni tra le mura dell’istituto, sia per la loro successiva rivendita ad altri detenuti. Per questo sono stati iscritti nel registro degli indagati anche altri due ristretti: uno di loro avrebbe promesso all’agente infedele la somma di 1.500 euro per l’introduzione di telefonini in carcere; l’altro avrebbe offerto a un altro agente una somma di denaro per ottenre lo stesso risultato.

Il possesso e la possibilità di utilizzare il telefonino, oltre ad alimentare una ‘supremazia’ nell’ambito dei rapporti carcerari, permette al detenuto di mantenere continui rapporti con l’ambiente esterno di provenienza e persino di continuare a impartire disposizioni criminose.

I fatti che hanno portato al provvedimento di oggi risalgono a un periodo (dall’aprile scorso ai primi giorni di ottobre) in cui l’introduzione di telefonini all’interno degli istituti penitenziari aveva solo rilevanza meramente disciplinare ma non non era ancora penalmente sanzionata. Solo dal 22 ottobre scorso, con l’entrata in vigore del D.L. 130/2020 fortemente voluto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, è stato introdotto nell’ordinamento l’art. 391-ter del codice penale, che punisce l’introduzione e l’utilizzo in carcere di tali dispositivi di comunicazione.